Da Stoccolma a Shenzhen: la corsa alla green economy

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Di Tommaso Carnaroli

Mercoledì 18 maggio si è tenuto a Stoccolma il 3° Simposio dei premi Nobel sulla Sostenibilità Globale (Nobel Laureate Symposium on Global Sustainability ), con lo scopo di preparare un documento da presentare durante la Conferenza mondiale per l’ambiente che, vent’anni esatti dopo il suo debutto, si terrà l’anno prossimo nella città che per prima la ospitò, Rio de Janeiro. Fra gli illustri presenti vi era anche l’ex premier norvegese Gro Harlem Brundtland, famosa per aver coniato, quando nel 1987 era a capo della Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, quella che è ad oggi la più celebre definizione di Sviluppo Sostenibile (“uno sviluppo che garantisca i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri”). Ed è proprio la tre volte Primo Ministro norvegese che, in un’intervista esclusiva a Xinhua, si è complimentata con la Cina per gli sforzi da essa effettuati in direzione della green economy, affermando che il gigante asiatico rappresenta un esempio da seguire in un mondo che per molti versi non è affatto migliorato  dal punto di vista della sostenibilità dall’epoca in cui ella diresse il lavori della Commissione. “Penso che il Governo cinese sappia bene che lo sviluppo del suo Stato non si potrà basare sull’impiego del carbone, del petrolio e dei trasporti privati, e che sia questa consapevolezza ad averlo di recente spinto a un forte interesse verso la green economy e verso l’utilizzo di risorse alternative, quali il solare e l’eolico” ha affermato la Brundtland, aggiungendo poi che “i paesi sviluppati debbono modificare il loro modello di sviluppo. Le economie emergenti non possono seguire il percorso di questi ultimi in quanto all’approvvigionamento energetico, se non vogliamo tutti finire soffocati sotto la crescente pressione demografica e ambientale”.

Lo stesso 18 maggio, mentre l’ex premier norvegese pronunciava queste parole, a oltre 8000 kilometri di distanza dalla capitale svedese, a Shenzhen, nel sud della Cina, si discuteva proprio di un tale nuovo modello di sviluppo, caratterizzato da basse emissioni di anidride carbonica e di altri gas a effetto serra. Il seminario, organizzato da Amcham, Camera di Commercio Americana nel PRD, e presieduto dal Direttore di SGS China, il Dr. William Lau, analizzava le possibili implicazioni dell’implementazione di misure atte all’abbattimento dell’inquinamento atmosferico in Cina, mostrando come un tale processo sia non solo di vitale importanza per il paese, ma possa anche risultare economicamente favorevole alla sua crescita. Uno dei meccanismi previsti dal Trattato di Kyoto allo scopo di raggiungere una riduzione a livello internazionale delle emissioni di gas a effetto serra (Green House Gases – GHG) è il cosiddetto Clean Development Mechanism (CDM), il quale prevede la creazione nei paesi in via di sviluppo di progetti ad alto tasso di sostenibilità, capaci di dar luogo a dei diritti trasferibili che potranno poi essere rivenduti alle aziende delle nazioni occidentali firmatarie del trattato stesso (e quindi soggette a restrizioni stringenti in materia di emissioni). La Cina, con un totale di 11 impianti, è il paese in cui è stato realizzato il maggior numero di tali progetti, ed è seguita ad una distanza considerevole dall’India, che ne ha 5.

Le considerazioni della Brundtland trovano quindi riscontro nella realtà fattuale: il gigante asiatico, pur non essendo ancora firmatario del precitato Trattato, non solo ospita un gran numero di istallazioni ad esso relative, ma si sta preparando a rivestire un ruolo pionieristico in quello che l’Harvard Business Review ha chiamato il ‘megatrend’ della sostenibilità. Il paese ha infatti fatto enormi progressi da quando, nel 2008, è stata istituita la prima cattedra di Sviluppo Sostenibile presso la Tsinghua University e costruito il primo edificio a zero emissioni a Ningbo (il CSET- Center for Sustainable Energy Technologies). Per quanto il 78% della produzione energetica del paese derivi ancora dall’altamente inquinante carbone, gli ultimi anni hanno visto un’impennata nell’utilizzo delle fonti alternative, geotermico in testa (17% del fabbisogno nazionale). Sebbene il solare non sia particolarmente sviluppato, la Cina è il più grosso produttore al mondo di pannelli fotovoltaici, ed ha di recente sperimentato la costruzione di impianti di dimensioni record, come quello di Xuzhou nella provincia dello Jiangsu, capace di produrre 26 milioni di Kw all’ora, dando luogo ad una riduzione in termini di emissioni di anidride carbonica pari a 20mila tonnellate annue. Fatta eccezione per il nucleare, anch’esso in via d’espansione, il Dr. Lau ha sottolineato nella sua presentazione la rapida crescita dell’eolico cinese, che costituisce ad oggi il 23% della produzione di questo tipo a livello mondiale, ed è arrivato ad ipotizzare la possibilità che il paese raggiunga entro il 2030 una copertura completa del proprio fabbisogno energetico grazie a quest’unica fonte.

Un ruolo importante ai fini di tali ottimistiche previsioni è svolto sicuramente anche dalla politica di controllo delle nascite portata avanti dal Governo cinese, che è stata tra l’altro oggetto di lodi da parte dell’ex Primo Ministro norvegese durante il summit di Stoccolma. Allo stesso modo, a rendere rosee le prospettive del paese in materia di sostenibilità contribuisce il contenuto del recentemente stilato dodicesimo Piano Quinquennale, che prevede il progressivo ‘greening’ di 5 province e di 8 città, facendo della low carbon economy uno dei suoi pilastri fondamentali.

La Cina ha dunque tutte le carte in regola per poter in futuro fungere da esempio per gli altri paesi che vogliano seguire un percorso di Sviluppo Sostenibile, e molto dipenderà dalla capacità del Governo di instillare nei cittadini, siano essi consumatori o produttori, una sempre maggiore consapevolezza sull’argomento. I tecnici che operano nel settore sanno bene che seguire quello che durante il seminario di Shenzhen è stato chiamato “il percorso del Giappone e degli Stati Uniti” sarebbe deleterio per la crescita economica e sociale del paese e del mondo intero (vista la rilevanza demografica cinese), ma la cognizione di un tale pericolo si dovrà estendere ben oltre questa cerchia ristretta perché i miglioramenti in materia possano essere sensibili.

In ogni caso, la corsa verso la green economy è iniziata, e una cosa è certa: uno dei partecipanti di maggiore rilevanza, che pure non abbiamo ancora provveduto a menzionare, saranno le imprese, siano esse cinesi, europee o, chissà, italiane.