Fisco più facile a Hong Kong

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di Rosario Di Maggio

Ritornata alla Repubblica Popolare Cinese nel 1997, grazie al principio di “un Paese due sistemi” coniato per l’occasione, Hong Kong ha mantenuto una larga autonomia amministrativa e la libertà di iniziativa economica in cambio della rinuncia a una propria politica estera e di difesa che spettano invece a Pechino. Questo passaggio, inizialmente visto con sospetto da molti Paesi occidentali, e con una certa diffidenza da parte dei residenti della colonia, ha di fatto rafforzato la crescita economica e l’importanza strategica di questa metropoli facendone uno dei poli più dinamici a livello internazionale.

Un centro finanziario internazionale di prim’ordine, spesso in testa alle classifiche internazionali che misurano la facilità del fare business, Hong Kong è una piattaforma preferenziale per chi intende produrre, vendere o comprare nei Paesi dell’Asia emergente e in particolare in Cina. Non a caso oltre il 43% degli investimenti diretti esteri confluiti in Cina, da quando questa ha aperto le porte agli investimenti stranieri, sono stati generati o sono transitati da Hong Kong.

Stando ai numeri ufficiali, si contano oggi tra le 400 e le 500 società italiane presenti ad Hong Kong, sebbene il numero preciso non sia disponibile. Molte le griffe del fashion e dell’alta moda che qui vendono con proprie catene di negozi al dettaglio, ma anche tante piccole e medie aziende che seguono l’approvvigionamento di beni finiti o semi lavorati in Cina e negli altri Paesi dell’area e naturalmente le banche che qui fanno parte del paesaggio urbano.

Gli ingredienti che di fatto costituiscono la struttura portante di questa realtà socio-economica così particolare, oltre alla stabilità politica, alla forte propensione ai principi di libero mercato e all’intolleranza dichiarata delle autorità per criminalità e corruzione, includono anche un regime fiscale particolarmente vantaggioso e una limitata disponibilità allo scambio di informazioni. Fattori, questi ultimi, che hanno spinto il fisco italiano a imporre limitazioni fiscali ai rapporti economico-commerciali tra le aziende italiane e i soggetti che operano in tale territorio. La firma, nel mese di gennaio, dell’accordo contro la doppia imposizione indica sicuramente la voglia di normalizzare il rapporto tra l’Italia e la Regione ad amministrazione speciale cinese allineando l’Italia agli altri Paesi europei che hanno già firmato e ratificato accordi simili, tra i quali anche Francia, Spagna e Gran Bretagna. Un allineamento anche in termini di competitività per le aziende italiane, che potranno in un prossimo futuro utilizzare i vantaggi offerti da Hong Kong soprattutto in termini di governance e di tipo strategico.

Dal canto suo, Hong Kong è legata sempre più al turismo dello shopping da parte di cinesi che dalla terra ferma vengono qui a comprare beni di alta moda, oro, gioielli e tecnologia per non parlare di beni immobili che hanno fatto salire i prezzi alle stelle. Dal 2009 le quotazioni delle case sono raddoppiate e lo scorso ottobre il Governo ha introdotto una tassa del 15% sugli acquisti di immobili da parte di soggetti stranieri proprio allo scopo di raffreddare un mercato a rischio “bolla”. Un flusso migratorio temporaneo di dimensioni così imponenti ha costretto i negozi ad attrezzarsi con personale che parla correntemente il mandarino, una volta non così comune visto che la lingua locale è il cantonese. I visitatori sono generalmente attratti dalla maggior varietà dei brand internazionali rispetto alla Cina ma anche dai vantaggi di prezzi, legati sia al cambio che all’inesistenza dell’Iva, e dalle maggiori garanzie rispetto al fenomeno della contraffazione. E se da un lato i negozi di Hong Kong fanno affari d’oro con i turisti che arrivano dalla terra ferma, dall’altro è di questi giorni la notizia delle proteste delle mamme di Hong Kong che si lamentano per l’impossibilità di trovare latte in polvere nei negozi. Penuria dovuta all’ingente flusso di contrabbando individuale, in aumento con l’avvicinarsi del Capodanno Lunare, da parte di molti cinesi che rivendono le confezioni di latte in polvere, acquistate a Hong Kong, oltre il confine a genitori spaventati dagli scandali degli anni passati. Proteste che hanno portato il Governo di Hong Kong a imporre limiti sulle quantità di latte in polvere che possono transitare dal confine.

Articolo comparso sul Sole 24 Ore del 5 febbraio 2013

Rosario Di Maggio è Manager a Shanghai e Yangtze River Delta a Dezan Shira & Associates, una società di consulenza specializzata in investimenti diretti esteri che offre servizi di costituzione societaria, consulenza legale, consulenza fiscale, contabilità, gestione libri paga, due diligence e revisione fiscale alle aziende straniere che investono nell’Asia emergente. Rosario si è recentemente trasferito a Shanghai dall’ufficio di Hanoi.