Blocco agli Investimenti Stranieri nel Settore del Tabacco. Perché?

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china tobacco industryIl Ministero dell’Industria e della Tecnologia cinese (MIIT) ha recentemente annunciato l’introduzione di nuove regolamentazioni atte all’esclusione degli investimenti stranieri dalla gigantesca industria del tabacco cinese, impedendo alle aziende e agli individui d’oltreoceano la partecipazione sia nella vendita all’ingrosso e sia al dettaglio del tabacco, sia in qualsiasi altra forma di scambio. L’introduzione di queste nuove restrizioni fa parte di un piano governativo ampio, con l’obiettivo di ridurre il crescente consumo di tabacco in Cina, che fino ad ora ha ottenuto risultati mediamente soddisfacenti.

In Cina, i più di 320 milioni di fumatori rendono il paese il più grande produttore e consumatore di tabacco al mondo: qui infatti risiede circa il 20% della popolazione mondiale, responsabile di circa il 45% del consumo globale di sigarette. Il crescente invecchiamento della popolazione, una forza lavoro in diminuzione e una società generalmente più ricca e con più alte aspettative sulla qualità di vita, obbligano il governo cinese a investire maggiormente sul benessere dei propri cittadini, anche se ciò spesso è accompagnato da alti costi opportunità.

Sebbene i prodotti anti-fumo e i servizi di assistenza sanitaria saranno i primi beneficiari del crescente controllo imposto sull’industria del tabacco, la Cina rimane comunque un paese difficile per la loro vendita. L’enorme profittabilità del mercato del tabacco e l’uso radicato dei prodotti per fumatori nella società cinese sono la principale causa di un impegno governativo ancora troppo indeciso e rappresentano ostacoli importanti per l’effettiva riduzione dei consumi.

L’uso del tabacco è fortemente insediato nella società cinese e varia dal consumo giornaliero fino all’utilizzo dello stesso per pratiche culturali. Sebbene vi siano differenze tra i sessi, il 68% degli uomini fuma contro solamente il 3,2% delle donne, gli effetti nocivi sulla salute affliggono tutti. La scarsa prevenzione e le restrizioni quasi assenti sul consumo all’interno di locali quali ristoranti e uffici espongono circa 740 milioni di cinesi al fumo passivo. Come risultato di un uso diffuso di tabacco, che va ad aggiungersi ad alti livelli di inquinamento, in Cina si ha il maggior numero di diagnosi e morti per tumori ai polmoni.

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Il fumo in Cina, soprattutto per la parte maschile della popolazione, non si limita al vizio ma è fonte di pressione sociale: rifiutare una sigaretta è simbolicamente considerato un rifiuto ad instaurare un rapporto di fiducia reciproca e una relazione, soprattutto tra sconosciuti. In maniera analoga alla cultura dell’alcool nei rapporti di business, costose sigarette e prodotti derivati del tabacco sono comunemente offerti come doni e spesso si è invitati a fumare con colleghi e partner. In aggiunta alle pratiche culturali e sociali, secondo il Lancet Medical Journal, vi sono numerosi miti ed errate convinzioni riguardo al tabacco, quali la credenza che le popolazioni asiatiche siano meno soggette ai danni alla salute, l’idea che sia facile smettere e che fumare sia un’antica tradizione della cultura cinese.

Il Ruolo del Governo nell’Industria del Tabacco

Il gigantesco mercato del tabacco cinese è dominato dalla China National Tobacco Corporation (CNTC), un’impresa pubblica (SOE) che controlla il 98% delle vendite di sigarette in Cina. La CNTC controlla più di 900 marchi, dai più famosi quali Hong Shuangxi, Yun Yan e Zhongnanhai, ai piccoli marchi regionali e derivati. Il monopolio di stato della CNTC ha reso i tentativi di investimento stranieri per la maggior parte infruttuosi e solamente una piccola parte di questi sono riusciti a produrre in Cina. Le compagnie straniere sono autorizzate a produrre e vendere i prodotti derivanti dal tabacco solo tramite la creazione di una Joint Venture con la CNTC. Malboro, per esempio, uno dei più grandi brand sul mercato globale, ha iniziato a produrre in Cina nel 2008 e solo dopo aver siglato un accordo con la CNTC per promuovere i marchi cinesi oltreoceano.

Le restrizioni governative in materia possono essere spiegate, in gran parte, dalla straordinaria profittabilità del mercato del tabacco. Un’altra ragione è l’aumento del potere contrattuale di CNTC riguardo all’accesso ai mercati internazionali, che deriva dall’aumento delle limitazioni per le compagnie straniere. Circa il 7-10% dei ricavi governativi proviene dalla vendita di tabacco. Conseguenza di ciò è il grande potere detenuto dall’Amministrazione del Monopolio di Stato sul Tabacco (STMA): il fratello minore del Premier cinese Li Keqiang ha guidato la STMA fino a febbraio 2015, dimostrandone la sua importanza. Seppur i costi del fumo sul lungo termine, principalmente identificabili nelle spese mediche e nelle morti premature dei lavoratori, sono decisamente superiori ai profitti immediati, in un periodo nel quale le fonti di ricavo governative si stanno indebolendo su molti fronti, i guadagni dalla vendita di tabacco rimangono un porto sicuro e dissuaderne il consumo risulta non conveniente.

Le caratteristiche delle recenti riforme in materia evidenziano questa riluttanza. Verso la fine del 2014 il governo presentò una proposta di legge che proibiva il consumo di prodotti derivati dal tabacco in tutti gli spazi chiusi e alcuni aperti, oltre che limitarne la pubblicizzazione. Nel 2015 il governo ha aumentato le tasse sulla vendita all’ingrosso dal 5% all’11%. Nonostante ciò, molti dei propositi iniziali sono stati ritirati, permettendo a ristoranti, bar, hotel e aeroporti di avere aree dedicate ai fumatori, oltre che a permettere il consumo di tabacco all’interno degli uffici. Se combinate alle già poco frequenti applicazioni delle regolamentazioni vigenti, le leggi cinesi risultano inefficaci nella dissuasione al fumo.

Il Mercato dei Prodotti per Smettere di Fumare

Gli sforzi governativi, seppur non sempre efficaci, e la grande percentuale di fumatori nel paese, offrono un mercato enorme e allettante per i produttori di strumenti per smettere di fumare.

D’altro canto però, il mercato presenta una serie di ostacoli che rendono complessa la sua penetrabilità. I cerotti alla nicotina sono il prodotto più diffuso in Cina e altri strumenti utilizzati, seppur con diversa affidabilità scientifica, sono sigarette elettroniche, dentifrici, medicine tradizionali cinesi e molti altri. Nonostante la varietà, l’utilizzo dei prodotti è basso. Nel 2014, Johnson & Johnson ha ritirato il suo prodotto di punta, Nicorette, a causa delle basse vendite. In altri casi, compagnie come Pfizer e Novartis sono penetrate nel mercato cinese preventivando un’attesa di lungo periodo prima che i costi siano recuperati. La bassa profittabilità è però compensata da poca concorrenza: Venturepharm è l’unica azienda cinese che produce medicazioni per smettere di fumare.

Per quanto riguarda le sigarette elettroniche, sebbene queste siano pubblicizzate come prodotti per aiutare la cessazione del consumo di tabacco, esistono molte argomentazioni riguardo il loro effettivo effetto sulla salute, equiparabile se non peggio a quello delle normali sigarette. Nonostante circa il 90% delle “e-cigarette” siano prodotte nella città di Shenzhen, nel Sud della Cina, la maggior parte viene esportata all’estero: l’utilizzo di tale prodotto è molto basso e, nella maggior parte dei casi, le ragioni non sono attribuibili al mantenimento della salute quanto più alla moda. Tutt’oggi il mercato delle sigarette elettroniche è deregolamentato ma, di recente, la Commissione nazionale per la Salute e la Famiglia (National Health and Family Planning Commission) ha incominciato a pensare ad un piano di regolamentazione per la loro produzione, vendita e uso.

L’attuale fallimento dei prodotti per smettere di fumare può essere parzialmente spiegato dagli alti costi. Le sigarette elettroniche in Cina sono più costose di quelle tradizionali e un ciclo di medicazioni completo costa fino a RMB 2000. La causa principale del loro scarso successo è comunque attribuibile alla mancanza di conoscenza e volontà di smettere dei fumatori stessi. Meno del 25% della popolazione adulta cinese conosce i rischi associati al consumo di tabacco. Meno del 10% dei fumatori smette per scelta propria, comparato al 50% in molti paesi sviluppati, dove il numero degli ex-consumatori è più alto dei consumatori.

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Nel 2015 però, le vendite di sigarette sono diminuite per la prima volta in 20 anni. Seppur il dato appare confortante, la ragione è probabilmente da ricercare nelle tasse più alte, che affliggono maggiormente i grandi fumatori e non contribuiscono a ridurne il numero totale.

Come spesso accade agli investitori stranieri che operano nei paesi emergenti, la presenza di grandi imprese statali quali la CNTC complica ulteriormente la situazione. I numerosi interessi acquisiti di queste compagnie, che spaziano dai puri profitti alle burocrazie più frammentate e complesse, dai libri paga e personale alla corruzione, rendono ardua la competizione sul mercato per gli investitori stranieri, che non possono beneficiare degli stessi trattamenti preferenziali. Il fenomeno ha conseguenze tragiche sulla salute della popolazione che soffre di diagnosi di tumore e morti premature sempre più frequenti, visto lo scarso interesse dei monopoli di stato cinesi ad abbandonare o ostacolare un’industria così profittevole.

Nonostante le potenzialità del mercato cinese, gli sforzi dei produttori di medicazioni anti-fumo saranno vani senza interventi governativi a supporto. La speranza è che, dati i costi della sanità sempre più alti e una produttività decrescente, la Cina si muoverà presto nella loro direzione, provvedendo ad intensificare gli sforzi per la riduzione del consumo di tabacco. È solo questione di tempo prima che le antiche abitudini vengano sostituite dai nuovi bisogni e, a quel punto, sarà fondamentare per i produttori di medicazioni per smettere di fumare essere preparati all’entrata nel mercato.


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